Carabinieri infoibati per difendere gli italiani

“Conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale” recita così il testo della legge del 30 Marzo 2004, n. 92 con la quale viene istituito il Giorno del Ricordo.

Ogni anno il 10 Febbraio, data scelta in riferimento ai trattati di Parigi firmati nella capitale francese il 10 febbraio 1947 dopo la fine della seconda guerra mondiale, si ricordano gli italiani uccisi e gettati nelle foibe, cavità carsiche di origine naturale con un ingresso a strapiombo. In quelle voragini dell’Istria fra il 1943 e il 1947 furono gettati (alcuni vivi) oltre 20.000 italiani

Tra queste vittime non finirono solo civili, ma anche tanti militari che rimasero al loro posto a difesa della popolazione italiana. 

Il generale Antonino Neosi, direttore dei Beni Storici e Documentali dell’Arma dei Carabinieri, in un suo articolo apparso su “Report Difesa” riporta nomi e fatti dettagliati che hanno coinvolto numerosi carabinieri che furono barbaramente uccisi.

La furia titina ebbe il suo apice dopo l’8 Settembre 1943. Dichiara il generale Neosi: “Migliaia di cittadini friulani, giuliani e dalmati vennero fatti “sparire”, e con essi almeno 250 Carabinieri. Purtroppo la quantificazione delle vittime è ancora oggi difficile sia per il recupero dei corpi e la distruzione di archivi municipali e anagrafici”.

Nelle foibe sono finite tante persone per nulla impegnate politicamente: insegnanti, artigiani, piccoli imprenditori, impiegati pubblici, militari graduati e non, preti cattolici.

Tra i numerosi documenti presenti nell’Archivio dei Beni Storici e Documentali dell’Arma dei Carabinieri sono riportati episodi tragici come la sorte toccata al maresciallo Sebastiano Costanzo, comandante della Stazione Carabinieri di Comeno (oggi Slovenia) che, catturato dai partigiani titini il 9 Settembre 1943, fu immediatamente legato e portato in giro per il paese affinché fosse ingiuriato dal pubblico e poi torturato e finito con tre colpi di pistola alla nuca; il suo cadavere fu gettato in una foiba presso Comeno.

Simile sorte toccò al Maresciallo Torquato Petracchi che comandava la Stazione di Parenzo (oggi Porec, Istria): catturato il 3 Ottobre dai partigiani titini venne trasportato assieme ad altri 25 italiani a Villa Surani e lì, con i polsi legati con del filo di ferro, fu fatto precipitare in una foiba profonda 135 metri.

Dagli archivi dell’Arma dei Carabinieri si parla anche di quei militari che vennero fucilati dopo essere stati sottoposti a processi sommari, come il sottotenente Angelo Finucci e il maresciallo Francesco Mereu, comandanti rispettivamente le caserme dei Carabinieri di Gallignana e di Pedea assaltate l’11 Giugno 1944 da 700 partigiani titini: al termine di un processo “farsa” furono fucilati unitamente ad altri 15 carabinieri e sepolti nei pressi di Santa Caterina d’Istria.

Altri dopo la cattura subirono atroci violenze prima di morire. Come i 12 carabinieri del posto fisso di Bretto Inferiore, incaricati della vigilanza della locale centrale idroelettrica: costretti dagli slavi a marciare per ore fino alla Malga Bala dove, la mattina del 25 marzo 1944, furono ferocemente uccisi.

Alle uccisioni ed aggressioni contro i militari dell’Arma dei Carabinieri si sommano altre violenze gratuite come la distruzione di edifici. I titini compirono una vera e propria epurazione.

Non solo uomini, donne di origine italiana dovevano scomparire, ma tutto ciò che in quelle terre parlava italiano.

Basovizza, pozzo minerario in disuso, è una delle cavità disseminate sull’altipiano del Carso triestino dove, negli anni a cavallo del 1945, furono uccise migliaia di persone. In quel luogo è stato istituito un cippo a memoria dei Carabinieri scomparsi e uccisi tra il 1943 e il 1947.

Il Giorno del Ricordo si affronta con iniziative quasi sempre lasciate all’ iniziativa di associazioni di istriani, fiumani e dalmati sopravvissuti a quei tragici eventi. Sono testimoni che raccontano sé stessi con la speranza che la storia della loro terra ormai “persa” non sia dimenticata, ma che torni ad essere condivisa dall’intero Paese.

Le immagini e i pochi filmati che vengono trasmessi in televisione durante il Giorno del Ricordo ci commuovono e aiutano a riflettere su quelle atrocità.

Almeno per un giorno (all’anno) commemoriamo i fatti del confine orientale ricordandone le vittime insieme ai 360.000 esiliati. 

Non ci poniamo mai la domanda “Perché abbiamo avuto bisogno di una legge che ricordasse quelle tragiche morti?”

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